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In talune sepolture primitive il cadavere subiva una mummificazione naturale quando era conservato in ambienti secchi e ventilati, con spontanea evaporazione dei liquidi organici, come accaduto nelle Catacombe Cristiane, nel Cimitero di Resina a Napoli, al Ferentillo di Spoleto e nel Chiostro dei Cappuccini a Palermo. Il corpo risulta preservato dalla corruzione con essiccazione e necrotizzazione dei tessuti che disidratando si anneriscono e si raggrinzano. Un risultato analogo si consegue col congelamento nelle zone artiche (come quello subito dalla mummia di Similaun) o viceversa con fumi e fuochi lenti (come praticato da alcuni popoli africani). Gli Egizi dapprima usarono bitume, pesce e cera (muhm in persiano significa cera, materia usata per imbalsamare). Nell'Antico Regno introdussero il salnitro e le resine (imbevendone le bende). Nel Nuovo Regno le viscere venivano asportate, trattate e conservate nei canopi. La XVIII Dinastia perfezionò le tecniche di mummificazione e di imbalsamazione (con l'adozione di bende intrise di balsami e con il riempimento, con paglia e miele e sostanze chimiche, delle cavità svuotate, correggendo e abbellendo i tratti esteriori del faraone. La preservazione del corpo intendeva conservare lo spirito del defunto, attraverso i suoi lineamenti, a garanzia della vita futura. |
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Mummia di Hatshepsut |
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