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“CAVALLO MORENTE” di Alfonso Balzico (1870)


 

Come milioni d'altri cavalli anche questo cade in una guerra degli uomini. Qui è mostrato non nella sua tragedia ma come mezzo d'espressione artistica per costruire la drammaticità dell'azione. Il suo cavaliere non lo soccorre, impegnato com’è nel gesto eroico della propria storia personale.

La morte d'un cavallo non porta implicazioni sociali perché non c'è una sua famiglia ad aspettarlo né un proprio futuro ad attenderlo eppure scuote la coscienza umana che ha prodotto l'orrore.

La sofferenza del cavallo è lancinante per la sua muta nobile contorsione; l'irrigidimento del collo sfugge al peso del corpo ferito a morte e si protende verso un vano tentativo di fuga ma il cavaliere e la guerra degli uomini lo attanagliano alla tomba.

Nella bocca rabbiosa l'ultimo rantolo è strozzato dal morso soggiogatore che ancor più lo stramazza a terra.

All'epoca della scultura (1870) per la statua equestre di Ferdinando Duca di Genova,  in piazza Solferino a Torino, non esistevano movimenti animalisti, anzi!  Vittorio Emanuele II per consentire all'artista il maggior verismo ordinò che si ammazzassero liberamente non importa quanti cavalli fossero necessari purché l'artista traesse dal vero le massime informazioni anatomiche ed emotive!


 

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