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L' AQUILA


Per una sola vittima a noi cara un po’ moriamo anche noi o siamo pronti ad accapigliarci o a cercare vendetta o ad adire le vie legali.

Anche una sola vittima di una sciagura è sufficiente a rimordere le coscienze umane o a creare casi giornalistici o portare a interrogazioni parlamentari. A cosa conducono 308 vittime? E 65.000 senza tetto? E la perdita di mezzo patrimonio artistico ed architettonico di un’intera città di prestigio storico? E la scomparsa di larghi settori dell’economia locale? E 10-15 miliardi di euro di danni?

Siamo abituati a con-vivere coi terremoti ma non accettiamo di con-morire coi terremoti. Da sempre li subiamo, da sempre ci ripromettiamo di prevenirne i disastri, eppure sempre ci facciamo trovare impreparati.

Veniamo ingannati dalle centinaia di scosse sismiche che ogni giorno martellano la Terra senza lasciare traccia. Fingiamo di dimenticare che storicamente, o statisticamente, in Italia ci ‘spettano’ circa sei disastrosi terremoti al secolo.

Il 6 aprile 2009 all’Aquila siamo stati pugnalati alle spalle? La risposta è soggettiva ma merita considerazione pubblica e privata. Si è avuto il quinto più violento terremoto degli ultimi cent’anni[¹], di magnitudo 6,3 Richter e numero di vittime (308) sempre elevatissimo ma relativamente inferiore a quanti lamentati in passato per eventi consimili[2].

La prima lezione che si può trarre dalle esperienze del terremoto è la necessarietà della prevenzione edilizia. Questa viene da sempre applicata alle sole nuove costruzioni ignorando lo stato di maggior bisogno dei fabbricati vetusti, per i quali si ritiene insostenibile il costo di messa in sicurezza statica.

Metà del territorio italiano rientra in aree a rischio sismico di 1° o 2° grado, all’interno delle quali aree oltre la metà del patrimonio edilizio è formato da costruzioni ultracentenarie.

Pur essendo altissimi i costi della prevenzione edilizia estesa alla totalità dei fabbricati, pochi amministratori e amministrati riconoscono che non affrontandoli deliberatamente prima, questi costi li paghiamo obbligatoriamente dopo. Fra le due opportunità, la prima viene offerta senza pagare l’assurdo prezzo delle vittime. È noto che lo Stato non dispone di sufficienti risorse per affrontare l’enormità della spesa (totale e preventiva) mentre coprendo la spesa solo dopo il disastro, ossia dopo il singolo disastro, riesce bene o male a potervi (dovervi) far fronte. Sarebbe utile notare come il buon risultato si potrebbe conseguire semplicemente ripartendo la spesa nell’arco sia pure di cent’anni, sufficiente a garantire la buona tenuta edilizia almeno a partire dal futuro prevedibile quarto o quinto prossimo terribile terremoto.

Tale programmazione a beneficio delle future generazioni sarebbe il miglior monumento virtuale e reale in memoria delle 308 vittime dell’Aquila e delle vittime dei terremoti di Avezzano, del Vùlture, del Bèlice, del Friuli, dell’ Irpinia e di altri sismi meno noti.                                                                                                                                                                          

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 [¹] AVEZZANO 1915, IRPINIA 1980, VULTURE 1930, FRIULI 1976, ebbero magnitudo comprese tra 6,4  e 7 gradi Richter.

 

 [2] Terremoto di AVEZZANO 1915, magnitudo 7. Vittime 33.000.

 

  Terremoto del VÙLTURE 1930, magnitudo 6,7. Morti 1404.

  Terremoto del BELICE 1968, magnitudo 6,1. Morti 370. Senza tetto 70.000.

  Terremoto del FRIULI 1976, magnitudo 6,4. Vittime 989.

  Terremoto in IRPINIA 1980, magnitudo 6,9. Morti 2.914, sfollati 280.000.

 

 


“Quei nidi di vespe sfondati sono case, abitazioni, o meglio lo erano.” (Alberto Moravia)

"Quei corpi senza vita avevano anima, amori, speranze,esperienze da trasmettere.” (Ignoto)

 

 

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