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IMMORTALITA'

 



[...] In diverse religioni primitive, ma anche in civiltà più complesse e, come sopravvivenze, perfino in quella moderna, si riscontrano manifestazioni rituali che sembrano presupporre che il morto, spesso addirittura il cadavere stesso, continui in qualche modo a vivere; si depositano nelle tombe viveri, oggetti d’uso, ecc. [...].

     La pur evidente differenza tra cadavere e corpo vivo (donde, in certi casi, il carattere meramente simbolico delle offerte funebri) suggerisce, d’altronde, l’idea che qualcosa, “l’anima”, abbandoni le persone nel momento della morte, magari con l’ultimo respiro (perciò “anima” e “spirito” in molte lingue sono affini a parole come vento, soffio, respiro), o si trasformi in forme d’animali, precisamente di animali che sembrano rinascere dopo la morte, per cambiamento della pelle (serpenti) o uscendo dalla terra (scarabei) o da larve (farfalle). Dove l’esperienza dell’unità della famiglia consanguinea è molto sentita, si sviluppa spesso l’idea che l’anima del morto rinasca nei suoi discendenti (per es., Australiani, Eschimesi) o si costituisce la rappresentazione di un genio immortale della famiglia. Tuttavia, sin da fasi assai primitive di civiltà in cui vi siano individui preminenti (capi,stregoni), la cui morte significa un avvenimento eccezionale, si tende a distinguere tra le sorti, dopo la morte, di questi individui e della gente comune; dove invece vi sono pratiche rituali (per es. iniziazioni) a creare differenze tra i vivi, queste differenze si proiettano anche nella morte: si costituisce l’idea del giudizio che decide sull’idea dell’anima, o si crede che i morti eccezionali abbiano una sorte eccezionale, cioè un’immortalità divina o quasi, per cui essi diventano oggetto di culto. Innestate nella comune paura della morte, simili idee, a loro volta, generano preoccupazioni diffuse, di modo che tutti gli individui cercano di assicurarsi una sorte favorevole dopo la morte.

 

     Se lo stato di morte per la concezione irriflessiva sembra semplicemente una continuazione più scialba ed esangue della vita, come appare nella rappresentazione degli “inferi” in molte religioni antiche (l’Arallu assiro-babilonese, lo Shèol ebraico, l’Ade greco, il Nifheim germanico, ecc.), d’altra parte, a fianco di questa, si forma la rappresentazione di un aldilà riservato agli individui eccezionali. Gli eroi greci passano, dopo la morte, nelle Isole dei Beati; quelli germanici nel Walhalla; il re egiziano s’identifica con Osiride; gli iniziati ai misteri (per es., eleusini, in Grecia) evitano la miserabile e oscura sorte dei morti comuni. Ma più tardi in tutte queste civiltà anche l’individuo comune pretende di avere il destino privilegiato che, con il sopravvento di criteri morali, viene concepito come condizionato al giusto comportamento nella vita. Queste idee formano il sostrato della credenza nell’immortalità che si riscontra, nelle forme più diverse, nelle religioni dottrinarie. In india, nella fase vedica della religione, l’immortalità è riservata esclusivamente agli dei, benché non manchi un regno paradisiaco dei morti, sotto il re Yama, antenato degli uomini e primo mortale. Nelle Upànis.ad, invece, si formula la tesi che l’uomo può pervenire ad una identità col brahman, concepito come anima del mondo, e cioè a una immortalità impersonale. [...]

     La via all’immortalità, in India, richiede un continuo perfezionarsi che non può compiersi in una sola vita: perciò si costituisce la dottrina della reincarnazione, che ritroviamo anche nell’orfismo greco, e i cui presupposti [...] si possono osservare nelle religioni primitive.

     Nella dottrina dell’immortalità del mazdeismo confluiscono i temi del giudizio (morale) e del rinnovamento cosmico. La speculazione filosofica greca (Platone, Aristotele), inserendosi nelle idee religiose, getterà le basi di una dottrina dell’immortalità personale.

     [...] Nell’ebraismo biblico, il tema della vita dopo la morte non è precisamente definito, probabilmente per una precisa scelta culturale che privilegia la vita di questo mondo. Si parla sovente dello Shèol come del luogo triste e oscuro in cui indistintamente si raccolgono i trapassati. L’idea dell’anima sembra presente in alcune allusioni [...], ma solo tardivamente (2° secolo a. C.) comincia a essere esplicitamente formulata. Più rilevanti le tracce di una credenza nella risurrezione dei morti [...]. Rifiutata dai sadducei, la credenza fu al centro della fede dei farisei insieme al concetto del mondo futuro, condizione escatologica variamente intesa. Nel cristianesimo primitivo, l’escatologia è fondata sull’idea della risurrezione, mentre una dottrina sull’anima non è ancora definita con precisione in tutto il Nuovo Testamento.

     Sull’immortalità dell’anima si comincia a discutere solo dagli apologeti e dai Padri, soprattutto sotto l’influenza del pensiero greco: ma le posizioni sono dapprima assai diverse e oscillanti. Così, Taziano considera l’anima come un principio materiale che diviene immortale solo per grazia divina, e più tardi, sulla stessa linea di pensiero, Lattanzio farà dell’immortalità una conquista etica del soggetto; Tertulliano invece, pur considerando l’anima materiale e trasmessa per traducem [...], ne difende l’autonomia, l’indissolubilità e l’immortalità. [...] Giustino[...], nutrito di platonismo e neopitagorismo, loda Platone per aver affermato l’immortalità dell’anima, mentre condanna Aristotele il quale, per aver definito l’anima “forma” del corpo, ne ha eliminato ogni vita ultraterrena.

     Per lungo tempo, nella speculazione cristiana dei Padri e della prima scolastica, continuerà a gravare su Aristotele questa condanna, mentre sarà acquisita la dottrina platonica dell’anima, soprattutto tramite la speculazione di S. Agostino. S. Tommaso, invece, accetterà la definizione aristotelica dell’anima e cercherà di dimostrare come gli argomenti di Aristotele approdino all’immortalità dell’anima individuale, difendendo questa posizione contro gli averroisti, per i quali nell’aristotelismo (ritenuto la massima espressione della ragione umana) c’è posto solo per l’immortalità di un intelletto agente unico per tutta la specie umana. La posizione di Tommaso verrà impugnata anche da scotisti e occamisti, ritenendo essi indimostrabile, con argomenti tratti da Aristotele, l’immortalità dell’anima, e continuando a sostenere quindi l’insegnamento platonico-agostiniano.

     Le polemiche sull’immortalità dell’anima resteranno vive fino al Rinascimento con il perpetuarsi delle stesse correnti medievali cui si aggiungerà, alla fine del Quattrocento, la posizione alessandrista che afferma, da un punto di vista puramente filosofico, la mortalità dell’anima [...].

     Nella filosofia moderna, quando non sono riprese le tradizionali posizioni agostiniana o tomista, il problema dell’immortalità dell’anima individuale, uscito dall’ambito teologico, perde il suo autonomo significato e si risolve nei problemi del soggetto e dello spirito, dell’essere e del tempo.

 

                                                                

 


(dalla Treccani)

 

  

 

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